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10 febbraio 2014 1 10 /02 /febbraio /2014 14:14
Fare il poliziotto in Italia può portare alla "follia": ecco perché

Dopo la tragedia avvenuta nel carcere di Torino la procura apre un'inchiesta e i scoppia la rabbia dei sindacati. Ma un poliziotto come vive il suo lavoro? Ne parliamo con Corrado Ziglio, professore dell'Università di Bologna, che ha studiato il caso.

Fare il poliziotto in Italia può portare alla "follia": ecco perché

La Procura di Torino ha aperto un'inchiesta sull'omicidio-suicidio avvenuto nel carcere torinese delle Vallette, coordinata dal pm Cesare Parodi e condotta dai carabinieri. Sulle cause del gesto ancora dubbi. Giuseppe Capitano, l'agente che ha sparato e ucciso l'ispettore Giampaolo Melis, avrebbe avuto il timore di un imminente provvedimento disciplinare nei suoi confronti.

Sin da subito hanno tuonati i commenti dei sindacati sulle condizioni lavorative della Polizia Penitenziaria: "La principale responsabilità del disastro penitenziario è di un'amministrazione del tutto inutile, gestita da un vertice altrettanto inutile che fa capo a un Ministro utile solo a se stessa" aveva commentato con rabbia Leo Beneduci, Segretario Generale dell'Osapp, l'Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria.

Scosso era anche il direttore del carcere di Torino che aveva anche sottolineato come il sovraffollamento e la carenza di organico tra le fila della polizia penitenziaria 'mettessero pressione' agli agenti.

Una vita difficile quella del poliziotto, perché non si tratta solo di un lavoro. Il professor Corrado Ziglio ha lavorato 19 anni con la polizia e diversi suoi reparti, portando avanti degli studi che gli hanno fatto conoscere i diversi aspetti di questa 'vita': "Anche la Polizia è soggetta a quello che è il deterioramento professionale. In biologia le cellule si deteriorano quando vengono esposte a sostanze tossiche. Questo avviene anche ai poliziotti, che attraverso la loro professione, gestiscono quotidianamente le brutture del mondo".

Un deterioramento che intacca la personalità e rende quasi impossibile la separazione tra vita professionale e vita personale: "Con il tempo si incamerano atteggiamenti cinici e molto spesso tra questi due aspetti c'è una contaminazione: infatti tra i poliziotti è alto il numero di persone separate o divorziate. Inevitabilmente ci sono dei riflessi sulla vita privata" continua il professor Ziglio.

"Oggi c'è il mito delle competenze di una professione ma nessuno parla della preparazione psicologica che spesso una professione comporta. In più per capire la vita di un poliziotto bisogna stargli a fianco. Per molto tempo, quando conducevo i miei studi, andavo in volante con loro e vivevo con loro molti aspetti del loro lavoro. Dover gestire problemi tra le persone e soggetti a rischio per le strade, non è una vita facile".

Quindi sarebbe necessario un supporto psicologico per chi lavora in polizia? "Una cosa è certa: la psicologia non basta. Servirebbe più un atteggiamento 'etnografico' basato su un rapporto di fiducia che si costruisce nel tempo. Chi lavora con la polizia per comprenderla deve anche costruire questo rapporto, prima base per un supporto che vada a smussare quel 'deterioramento' di cui parlavamo prima. Quindi è necessario conoscere la vita del poliziotto".

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