Sandro Chiaravalloti
Sindacato Italiano Appartenenti Polizia
Segreteria Provinciale
PIACENZA
Sandro Chiaravalloti
Siamo alla frutta!! Dopo l’assenza dei water nei nuovi bagni della stradale, dopo un ascensore funzionate e costoso sito in un luogo inaccessibile – rischiando così di disperdere le risorse economiche già investite se non si ultimano i lavori - non ci sono i soldi per riparare un semplice campanello per far accedere i cittadini negli uffici della polstrada, dove gli stessi utenti vengono invitati, con un biglietto esposto sul campanello da giorni, di chiamare telefonicamente l’ufficio. Speriamo che non si arrivi al punto di far chiamare il 113. Giorno 17 novembre ci sarà la riunione periodica tra datore di lavoro e rappresenti dei lavoratori sulla questione sicurezza e salubrità nei luoghi di lavoro. Il siap, il sindacato più rappresentativo della provincia e della stradale stessa, ancora in crescita, non vi parteciperà. Crediamo che sia una ulteriore riunione tesa a “mettere le carte a posto” senza che ci sia una seria volontà di risanamento. Inviterò nei prossimi giorni tutti in parlamentari e in particolar modo che ha già effettuato una interrogazione al ministro degli interni di effettuare una ispezione nell’edifici - Foti, Polledri e Turco - affinché posano gli stessi prendere personalmente visione di una situazione scandalosa che non può più essere accettata da nessuno. Stiamo organizzando inoltre una manifestazione locale.
Il Segretario Generale provinciale SIAP Sandro Chiaravalloti
SICUREZZA: SEMPRE PIU’ EFFETTO “PLACEBO”?
Sto notando, con profondo sconforto, come sindacalista-poliziotto e anche come semplice cittadino , che la sicurezza se prima era più percezione che concretezza - e già questo era negativo - oggi, pian piano, sta diventando addirittura sempre più: “effetto placebo” . Oramai sia la politica che alcune istituzioni preposte, aimè, hanno capito che è più facile apparire che non procurare sicurezza concreta. Comprendo perfettamente i cittadini e le loro emozioni, ma è meglio che anche loro comprendano, prima che sia troppo tardi, che certe strategie sono utili per lo più a dar fumo negli occhi, creare consenso e alibi. Nonché, cosa ancor più scandalosa, accontentare solo i pochi a discapito ti tanti altri . Ad esempio, le ben volute pattuglie miste con i militari, si voglia o non si voglia, distolgono in ogni turno 2 poliziotti che potrebbero formare una volante che vuol dire 4 volanti al giorno anche in base alle assenze legittime del personale, in un settore dove il personale è sempre più inferiore e “anziano”, dove i diritti vengono sempre meno e dove le condizioni lavorative sono pessime. La sicurezza, è ora che si comprenda, è anche (anzi, soprattutto) garantire un intervento celere e qualificato in ogni luogo della città e della provincia, in quanto in certi casi la celerità vuol dire salvare una o più vite in un periodo dove i reati, calo o non calo, aumento o no, sono sempre più efferati. Del resto, mentre una volta i ladri di appartamenti entravano in casa quando non c’erano i proprietari ,adesso entrano quando ci sono in modo tale che se non trovano nulla al volte svegliano gli inquilini e li maltrattano pesantemente per farsi dire dove sono i beni. Per me, come cittadino, come marito e come padre, sapere che di notte in caso di bisogno chiamare il 113 o 112 vuol dire ottenere un intervento tempestivo e qualificato, mi farebbe stare meglio più che sapere che ci sono pattuglie miste appiedate in poche zone di una città o solo nel centro di qualche paese.
Perché i cittadini sono uguali a prescindere da dove abitano. Un intervento celere e qualificato, spero non ci siano dubbi, lo può fornire solo una volante o una gazzella – in tutta la città e provincia - . Ho sempre affermato , e lo ripeto, che è meglio avere 2 volanti efficienti che 4 servizi “zoppi” e utili a fornire il predetto “effetto placebo” che ti fa sentire meglio “fregandoti” ma che non ti cura del tutto. Ma poi, per correttezza – mi si perdoni l’ironia - bisogna anche mettere in conto che le risorse sono sempre meno e che se le auto invecchiano e non vengono sostituite si potrebbe andare tutti a piedi. Allora, visti i tagli, il destino è quello che tutti gli operatori di polizia andranno a piedi per fornire il predetto “placebo” ?
Da cittadino, ancor prima che da poliziotto-sindacalista, spero che ci sia una attenta riflessione e che si smetta di fornire visioni a discapito della nostra sicurezza che deve essere sempre democratica e civile e garantita dai veri professionisti i quali vanno messi in condizione di operare al meglio. .
Sandro Chiaravalloti
Sandro Chiaravalloti
Sandro Chiaravalloti
Poliziotti: ancora cittadini di serie B ? Gli indizi di una rimilitarizzazione strisciante.
In alcuni precedenti interventi su questa testata ho avuto modo di sottolineare, da una parte, come il sistema della sicurezza pubblica previsto dalla Legge 121/81 sia un sistema costoso, per certi versi pletorico (il più alto tasso di rapporto in Europa tra addetti alle diverse forze di polizia e cittadini) e, dall’altra al tempo stesso, come questo sistema inefficiente sia stato anche produttivo di un arretramento delle retribuzioni conferite agli operatori (se comparate a quelle di altre maggiori realtà europee).
E’ ora solo il tempo di confortare, sia chiaro del tutto eufemisticamente, il lettore su come anche dal punto di vista dei diritti di libertà e del loro concreto esercizio il bilancio, dal punto di vista del cittadino-poliziotto, sia ancora tutt’altro che positivo.
Ma occorrerà andare con ordine.
Libertà sindacale.
La legge 121/81, quella legge che ha portato la riforma dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, ha concretizzato il diritto di ciascun appartenente alla Polizia di Stato di associarsi in sindacati ma al secondo comma dell’art. 82 – pur innanzi alla chiara ed esplicita previsione dell’art. 39 della Costituzione che dall’entrata in vigore continua a volere una forma organizzativa sindacale di tipo libero - ha introdotto il vincolo del divieto di aderire ad un’associazione sindacale con altri lavoratori impiegati in altri lavori e assumerne, dunque, la rappresentanza.
Cosicché oggi gli innumerevoli sindacati di Polizia, tutti costituiti da poliziotti, proprio in virtù di questa restrizione – come è intuibile - tendono a somigliare alle rappresentanze militari, a dei Cocer, oltre che ad avere la tendenza a porre in essere politiche di tipo corporativo piuttosto che spostare l’asticella verso l’alto, verso lotte di riforma.
Diritto di sciopero.
Il diritto di sciopero dell’art. 40 della Costituzione, seppur doverosamente regolamentabile come avviene per gli altri servizi pubblici essenziali, è addirittura inibito all’appartenente alla Polizia di Stato.
Diritto di partecipazione politica.
Dalla metà degli anni novanta non viene più reiterato, come avveniva, nella forma incostituzionale del decreto legge la possibilità, prevista dall’art. 98 comma 3° della Costituzione.
I lavoratori della Polizia di Stato, proprio perché smilitarizzati con l’entrata in vigore della legge n. 121 del 1981 come tutti i cittadini, avrebbero dovuto – in assenza di una esplicita previsione legislativa ordinaria in tal senso - godere del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione (ex articolo 21 della Costituzione) e di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale (ex articolo 49 della Costituzione); così come per ogni iscritto ad un partito anche a loro doveva essere garantita la piena vita statutaria e cioè la piena libertà di far avanzare le proprie idee e le proprie istanze all’interno e all’esterno dell’organizzazione politica a cui si è deciso di appartenere.
A complicare il quadro ci ha pensato, però, l’art. 81 della Legge 121/81 che con la sua formulazione poco chiara alimenta non pochi equivoci ed impone agli appartenenti alla Polizia di Stato, di « mantenersi al di fuori delle competizioni politiche... e di svolgere propaganda a favore o contro partiti »; cosicché - seppur non esclusa la possibilità di esercitare il diritto di elettorato passivo – un’interpretazione estensiva oltre il tenore letterale e quello sistematico (del tutto non improbabile in Italia) di tale disposto legislativo impedirebbe anche al privato cittadino che di mestiere fa il poliziotto (ma che non si propone all’opinione pubblica come appartenente alla Pubblica Amministrazione) persino di manifestare liberamente il proprio pensiero anche nei periodi di tempo situati al di fuori di quelli di campagna elettorale.
Ed appare, infatti, del tutto paradossale non prevedere il divieto di iscrizione ai partiti politici e poi rendere l’iscritto che di professione fa il poliziotto all’interno del partito un mero convitato di pietra in attesa di essere cooptato per la composizione delle liste elettorali.
La rimilitarizzazione strisciante.
Come avevo già scritto che la legge 121/1981, seppur in modo parziale e tendenzialmente dunque esposta a rischi contro-riformatori, abbia apportato mutamenti rilevanti sul piano democratico per il Paese e per gli stessi appartenenti all’Amministrazione della Polizia di Stato è un dato di fatto indiscutibile.
Ma che sia in atto, e non da oggi con il governo dei “capaci di tutto” e con l’introduzione pressoché a sistema dell’impiego dei militari nelle città, anche nell’ordinamento della sicurezza una rimilitarizzazione strisciante è un altro dato che m’appare altrettanto indiscutibile: capace di minare dall’interno proprio quella “civilizzazione” voluta invece dalla Legge 121/81.
Ma il monopolio di questo processo non è solo di questo centrodestra.
A mettere, infatti, un primo tassello contro qualunque ipotesi di unificazione o coordinamento tra le due principali Forze di polizia ci pensò l’on. Dalema che con Legge 78/2000 conferì all’Arma dei Carabinieri il rango di quarta Forza Armata. Di fatto, in questo modo, non solo si accrebbe l’autonomia dei Carabinieri rispetto alle altre Forze di polizia ma si realizzò un’altra grave anomalia: “quella di essere l’unico Paese al mondo ad avere aggiunto una nuova dimensione di Forza Armata a quelle di cielo, di mare e di terra”.
Esplicita controriforma – quest’ultima - che è aggravata dall’errore di aver previsto, proprio nella Legge 121/81, la permanenza nell’apparato di ben tre organizzazioni di tipo militare con funzioni di polizia (Carabinieri, Guardia di Finanza e all’epoca anche l’odierna Polizia Penitenziaria).
Tale pratica la si rinviene nella sopravvivenza all’eterna rincorsa ai riordini di carriera sganciati da ogni elemento d’effettiva professionalità che sono elemento costitutivo delle strutture militari; nella stessa direzione si inquadrano senz’altro le resistenze a riformare l’attuale regolamento di servizio e quello di disciplina che definirli vergognosi non è il peggio che si possa dire. Analogo discorso vale per la gestione della mobilità del personale che funziona forse peggio di quella ante-riforma.
Anche sul piano simbolico la persistenza dei cappellani militari in un’amministrazione che si vuole “civile”, gli alamari e i decori sempre più grandi e vistosi nelle divise degli “ufficiali”, le marce e i giuramenti a cui negli ultimi anni sono sottoposti persino i funzionari, a quale tipo di identità rispondono se non a quella militare?
E proprio il Governo Berlusconi del 2001-2006 con il consenso quasi unanime dell’opposizione è riuscito, all’insaputa del paese, a porre un altro macigno sulla strada dell’effettiva smilitarizzazione. Faccio riferimento alla legge che nel luglio 2004 abolendo la leva obbligatoria ma anche il concorso pubblico con accesso diretto dalla vita “civile”, ha stabilito anche che per entrare a far parte di una delle Forze di polizia (compresi i Vigili del Fuoco!) è indispensabile, per l’aspirante, il requisito dell’aver prestato almeno il servizio di leva volontaria per almeno un anno consecutivo in una delle Forze Armate.
Ci sarebbe da comprendere che - come per la democrazia, lo stato di diritto e libertà anche per una riforma che portasse definitivamente maggiori libertà e diritti democratici all’interno della Polizia di Stato come non ha fatto la Legge 121 del 1981- nulla si può considerare acquisito per sempre.
Sinossi...................... Un poliziotto della Sezione specializzata minori di Palermo combatte da anni la pedofilia. E’ un compito delicato, che richiede molta caparbietà per superare l’orrore dei tantissimi casi di bambini segnati dalle violenze sessuali e infinità sensibilità per accostarsi alle piccole vittime e indurle a liberarsi dall’incubo. Senza indulgere mai nella morbosità, questo libro – che ha la prefazione di Salvo Ficarra e Valentino Picone – racconta con delicatezza storie vere, di abuso e di recupero dell’innocenza perduta.
Gli Autori.............. Nicolò Angileri, nato a Palermo nel 1970, è assistente capo della Sezione specializzata minori della Questura di Palermo. Dopo varie esperienze di lavoro, dalla Omicidi all’Antirapina, dal ’93 si occupa di casi di violenza sessuale.
Raffaella Catalano, giornalista ed editor, è nata a Palermo nel 1964. Laureata in Lingue, per dieci anni ha lavorato come cronista di giudiziaria per i quotidiani “la Repubblica” e “La Sicilia” e per varie testate televisive e radiofoniche. Dal 2001 si occupa di editoria, collaborando con case editrici e scrittori.